Perduto, svanito, smarrito: addio per sempre mio caro orecchino.
Carica di borse apro lo sportello della macchina, poso le borse sui sedili posteriori, prendo posto dietro al volante, metto la cintura e inserisco la chiave nel blocchetto per l’accensione, prima di ruotarla mi guardo allo specchietto retrovisore e mi rendo conto che qualcosa manca. L’orecchino sinistro, dannazione.
Inizia la caccia, si sfila continuamente, è ingombrante ma non pesa al lobo, se cade non te ne accorgi, si nasconde tra i ricci, si impiglia alla sciarpa, magari è scivolato sotto il cappotto… O sotto il maglione. È difficile la ricerca intrappolata dalla cintura di sicurezza, ma non la levo, ho solo voglia di tornare a casa dopo una lunga giornata di lavoro, ormai è perso, inutile perdere tempo. Metto in moto e mi avvio verso casa, magari l’ho appena schiacciato facendo manovra. Pazienza. Magari è caduto sotto la scrivania al lavoro mentre mettevo il cappotto. Sì deve essere andata così… La speranza di trovare quell’inestimabile pezzo di bigiotteria si riaccende. Adoro quel paio di orecchini, due dischi sottili che ricordano mandàla d’argento…
E se non lo ritrovo? Pazienza. Non è il primo orecchino che perdo. Imbocco la tangenziale e mentre il vetro si appanna per il freddo mi ritrovo a sorridere e a pensare all’ultima volta che ho perso un orecchino, la scorsa estate. L’auto, come la casa, nasconde ma non ruba. E sarà nascosto sotto il tappetino o sotto il sedile del passeggero quella pallina a righe rose e bianche, vittima innocente di carezze troppo audaci… Ma l’auto non è la mia… E nessuna implorazione allora fu tale da impietosire l’artefice del misfatto a cercare il gioiello smarrito nella foga dei baci… Ed il broncio causato dalla mia perdita non faceva che aizzare il mio carnefice amoroso, e quindi per consolarmi della perdita altro non poteva fare che continuare a dispensare baci…
Sono ormai quasi arrivata, lungo la strada si disperdono i pensieri frivoli di qualche calda notte estiva, l’attenzione è tutta rivolta ad evitare le buche. Svolto finalmente nella via di casa, parcheggio sul lato destro della strada, spengo il motore e tolgo la cintura e, come ogni sera prima di scendere dall’auto e rincasare, mi guardo allo specchietto retrovisore, come a controllare di essere sempre la stessa o che tutto sia in ordine e al posto giusto sulla mia faccia – sarà forse la speranza intramontabile di trovare qualcuno davanti al cancello che mi attenda – e noto il lobo orfano. Sospiro, ancora ispeziono velocemente la sciarpa e i capelli, ma nulla. Mi arrendo all’evidenza dei fatti: è perduto.
Scendo dall’auto, chiudo a chiave e vado verso il cancello, mentre frugo nella borsa per cercare le chiavi di casa, alzo lo sguardo al cielo e vedo la luna: piena, bellissima, seminascosta da qualche nuvola errante. Mi fermo imbambolata ad ammirarla, sembra un disco d’argento traforato. Rido, rido ed esclamo: “Ecco dove sei finito! Ed io che pensavo di averti perduto!”.
Oltrepassato ed accostato il cancello ridacchio percorrendo il vialetto del giardino crogiolandomi nella scoperta bizzarra appena fatta.
In fondo il cielo è sempre il posto migliore dove custodire le cose perdute.
Scrivo da quando ho 14 anni, per gioco, per necessità.
Nel 2017 ho pubblicato la raccolta di poesie “Stracci di parole” della collana “In bilico sui versi” di Edizioni Progetto Cultura.
Dal 2011 sono parte attiva di un gruppo di ricercatori indipendenti, I dormienti di Efeso.